In un periodo particolarmente avverso come questo che stiamo attraversando, certe sottigliezze potrebbero passare inosservate; ma è invece proprio da codeste piccolezze che si riesce a capire quanto becero sia questo potere che regola la nostra società. Sarà capitato a tantissimi di recarsi agli uffici preposti, per poter ricevere una semplice carta d’identità, documento importantissimo che caratterizza la nostra esistenza, e la notifica su un pezzo di carta che riassume la nostra persona, in Italia come all’estero. Tra le varie voci c’è anche la “professione”. E’ questa una delle classificazioni più importanti, perché identifica l’individuo e gli fornisce al contempo “soddisfazione”: far sapere al mondo che si è studente, operaio oppure libero professionista, è un fatto che inorgoglisce colui che volontariamente e con passione svolge quella determinata mansione lavorativa (anche lo studente è difatti un lavoratore). Diversa è la questione, quando lo spazio libero a fianco della voce “professione”, si riempie – si fa per dire visto quello di cui si tratta -, con “disoccupata/o”. Provino adesso gli amministratori della finanza e coloro che garantiscono dai piani alti lo status quo a questo capitalismo occidentale dichiaratamente liberista, di vedere l’espressione radiosa negli occhi dei propri figli laureati con ottimi risultati, quando per colpa della situazione da loro imposta si trovano ad essere “professionisti della disoccupazione”. Un’ “attività” questa che lede in toto la piena realizzazione e lo sviluppo della persona e che offende così l’essere umano. Se il lavoro è diritto, e se la vita si estrinseca anche attraverso la laboriosità giustamente ricompensata, allora si capisce l’offesa patita da quelle milioni di genti denigrate, da un sistema che nei fatti attribuisce consistenza e “riconoscimento” sociale ad una categoria che hanno volutamente creato. I disoccupati, o meglio l’esercito di riserva del capitalista, divengono così una partizione di popolo alla quale gli si nega il diritto alla vita e all’eguaglianza.
E’ altresì vero che ci si adopera, sicuramente poco, per diminuire i disagi e la frustrazione dell’essere disoccupata/o. Una di quelle occasioni in cui si dovrebbe privilegiare questa categoria sociale sono le elezioni, momento dove si creano per pochi giorni, attività che richiedono impiegati a basso costo. E’ davvero triste venire a conoscenza di una situazione di intransigenza burocratico-amministrativa (sarà poi vero?), che non permette nella nostra Paola a più di 110 persone il rimborso –perché di questo si tratta-, relativo al lavoro prestato durante le scorse amministrative. A più di una anno di distanza questo consistente gruppo di persone attende invano la risoluzione della problematica. Nel frattempo per coloro i quali prima delle amministrative paolane erano e sono ancora catalogati barbaramente come “disoccupati”, non resta che indignarsi e reagire coalizzandosi per portare avanti una battaglia di civiltà e decoro, senza preoccuparsi del colore politico attualmente al governo della nostra Paola. Come gruppo politico organizzato ribadiamo il nostro impegno e la nostra serietà in questa, come in altre battaglie sociali.
Emanuele Carnevale, per conto dell’Associazione Paolab e del coordinamento cittadino del Partito della Rifondazione Comunista-FdS e Cambia Paola.