“Memorie dall’inferno” non è stato uno spettacolo, neppure una recita od una computazione, sebbene articolata di informazioni anche sparute. “Memorie dall’inferno” ha voluto dare il suo contributo ad articolare il nostro presente, che proteso verso il futuro, tiene conto dell’ancoraggio col passato. Un tempo che non è andato perduto, giacché si protrae a dare sfogo a quella rabbia e dolore che trovano anima in momenti come questi. Il trasporto emotivo è riuscito a scuotere tutti coloro che hanno partecipato alla manifestazione.
Non è mai facile parlare della morte, quasi impossibile è concepire uno sterminio. Cercare le cause storiche, politiche, culturali, ideologiche, può talvolta essere fuorviante rispetto all’azione del fatto compiuto e perpetrato in un dato periodo. I massacri e le uccisioni sistematiche di ebrei, testimoni di Geova, comunisti, zingari, omosessuali, malati di mente, persone di razze “inferiori”, rappresenta una delle pagine più tristi di un secolo, il Novecento, che non a caso lo scorso venerdì è stato giustamente definito <<il secolo degli orchi>>. Dalla poesia ai romanzi, dalla musica ai filmati, sino a giungere alle basi scientifiche su cui si son legittimate le stragi ed i momenti storici, il capire il come ed il perché dell’accanimento contro le donne ed i bimbi. Le truppe totalizzate dei soldati nazifascisti hanno scientificamente operato la distruzione di massa di intere etnie e comunità che nel frattempo erano già divenute società. Un massacro collettivizzante portato in auge da un’organizzazione fordista, solo che nelle fabbriche non venivano costruite automobili, da lì uscivano cadaveri, cenere dispersa nel vento, cenere filtrata dai polmoni dei carnefici. Gli eccidi di massa nelle capitali sovietiche e nei villaggi occupati. Come in quelli che qualche decennio fa erano ancora solo i sobborghi di un’urbanizzazione in crescita nella città di Kiev. La docente Antonella Salomoni insegnate di “Storia dell’Europa contemporanea” presso L’Università della Calabria e di “Storia della Shoah e dei genocidi” presso l’Università di Bologna ha ricordato come i piccoli ebrei venivano soppressi, prendendoli per le gambine e fracassandogli il cranio, o sotterrandoli ancora vivi; si risparmiavano pallottole, tutto era funzionale alla produzione, anche a Baij Jar dove i corpi assassinati, nudi e freddi hanno spianato un burrone, a cielo aperto. Ma non è tutto, perché in un’attività industriale c’è anche la parte dello smaltimento della fase successiva rispetto alla produzione, nonostante il senso metaforico non si può pensare alla morte quali scarti del processo, ma tale è stato inteso, in cotale modo si è agito. Quando l’Armata Rossa avanzava i resti umani vennero riesumati dai prigionieri dei nazifascisti, accalcati in pile di legno, cosparsi di materiale infiammabile ed emulati al fuoco, così, come accadeva nei campi di concentramento, così come accadeva secoli e secoli fa nell’Europa anti ebraica.
Non si poteva però non sottolineare il raffronto col presente, nel quale persecuzioni e le medesime azioni di assassinio sistematico prendono piede e sostanza. E’ difficile astrarsi dalla realtà che circonda, considerare con occhi critici il mondo attiguo, ma se non lo si fa si rischia di cadere in fallo, si diviene assorbenti; si, proprio assorbenti di un processo alienante che in certo senso non si accorge del marcio nel quale si sguazza. Eppure ognuno di noi ha quella sensibilità, quell’umanità tale da poter rendere l’uomo essere critico del prodotto societario, del contesto nel quale è intercalato. Dunque nessuno è escluso, tutti dobbiamo compiere questo salto di qualità, tutti, perché tutti possiamo. Non si possono socchiudere gli occhi sulle persecuzioni religiose portate avanti in Iran come in altri stati, e non si può pensare di essere società aperta al multiculturalismo se in base a costrutti economici liberisti si hanno “Centri di identificazione e d’espulsione” come qui in Italia.
Eppure tutto parte da un concetto primario, quello cioè dell’Eguaglianza sostanziale, dell’uguaglianza sociale, quel principio utopico che ha segnato la nostra civiltà, da Platone a Moro, da Campanella e Babeuf, da Engels a Luther King. Non avere pregiudizi verso il prossimo, non solo amarlo ma anche tollerare i diversi punti di vista, le fruizioni congenite in modi diversi di intendere la vita. Se un senso in quest’esistenza si vuole trovare, non può non essere quello dell’immaginare modelli politici ed apparati amministrativi che smembrino le differenze nazionali a vantaggio di un benessere collettivo multiculturale, cos’è altrimenti l’unione dei popoli?
Stiamo vigili ed attenti, poiché insieme possiamo, insieme dobbiamo.
Emanuele Carnevale