INSIEME, PER LA DIGNITA’ DELLA DONNA
NON RIVENDICHIAMO, COLLABORIAMO PER I DIRITTI DELLE DONNE
Mi piacerebbe informarvi esclusivamente dei moltissimi ristoranti e locali vari nei quali si festeggerà <<la giornata internazione della donna>>, dei numerosi banchetti, cene e( gettonati) spogliarelli , ma preferisco lasciare questo incarico a chi di dovere per dedicarmi ad una delle discussioni che mi sta più a cuore: la perdita della connotazione sindacale, legata al lavoro delle donne, e il conseguente valore commerciale che questo giorno ha negli ultimi anni assunto.
Come iniziare se non pensando alla versione senza dubbio più diffusa, collegata a quanto sarebbe avvenuto l’8 marzo 1908 presso una fabbrica di New York dove sarebbero morte numerose operaie. Anche se non c’è traccia nella stampa americana del tragico incendio, è, comunque, da quell’anno che gli U.S.A. celebrano la festa della donna.
Più realisticamente, vorrei ricordare la prima conferenza internazionale della donna seguita da una seconda conferenza nel 1910, su indicazione di Clara Zetkin, durante la quale fu proposto il diritto universale di voto, diverso quindi dal diritto per censo per il quale si battevano le suffragette inglesi, e l’istituzione di una giornata intitolata alla donna e ai suoi diritti. Inizialmente, la giornata della donna si svolse in date diverse in ciascuna nazione.
L’8 marzo 1917 a San Pietroburgo le donne russe guidarono una manifestazione che voleva la fine della guerra, durante la quale le celebrazioni erano state interrotte. E fu questa iniziativa il punto di partenza della rivoluzione che pose termine al potere dello zar. La conferenza internazionale delle donne comuniste, svoltasi a Mosca nel 1921, fissò all’8 marzo la <<Giornata internazionale dell’operaia>> riconoscendole così quello che era stato nei fatti un ruolo determinante nella caduta dello zarismo.
La connotazione politica della Giornata della donna, l’emarginazione del movimento comunista e il secondo conflitto mondiale fecero perdere al movimento le sue vere origini e presero a circolare diverse versioni che, anche se smentite da più ricerche, sono tutt’ora diffuse dai nostri mass media.
In Italia fu l’UDI a preparare la celebrazione del primo 8 marzo nelle zone libere: era il 1945. Diritto di voto, parità salariale, tutela della maternità alle lavoratrici dipendenti sono soltanto alcune delle richieste e delle conquiste per le quali le militanti si sono battute nelle manifestazione che seguirono. Ma dobbiamo attendere gli anni settanta, quindi il movimento femminista, prima di registrare un po’ di udienza nell’opinione pubblica. Le poche decine di donne che manifestarono nel ’72 vennero attaccate da un grosso reparto di polizia ma non si fermarono: respinto il referendum abrogativo sul divorzio, iniziarono a mobilitarsi per ottenere il riconoscimento del diritto all’aborto e così anche il principio del diritto di parità nel campo del lavoro.
Ma dopo questo percorso di crescita,che ho solo accennato e che sarebbe straordinario se diventasse l’oggetto di un passaggio di memorie tra generazioni, l’orgoglio femminile mi sembra ogni anno più sbiadito,consumato. Bisogna restituire il giusto onore e il giusto peso ad una data il cui valore è stato tante volte sminuito con le nostre abitudini consumistiche. Contro questa volgarizzazione dell’8 marzo, contro questa insensata mercificazione,contro la logica del profitto e la supremazia del mercato, bisogna che quel processo di liberazione e di emancipazione continui. Ma non ho in mente un “8 marzo” di rivendicazioni e scontri e non penso nemmeno che sia il caso di mollare. Piuttosto sono convinta che debba essere un momento di collaborazione, di incontro, affinché l’uguaglianza sia assicurata in quegli aspetti della vita in cui la donna può rivendicare un ruolo migliore o nuovi impegni e sia mantenuta dove ha già assunto una posizione soddisfacente. Vorrei che <<la giornata internazione della donna>> venisse rivalutata dalle donne stesse soprattutto, ma anche dal generale giudizio popolare, che venisse valorizzata la cultura delle pari opportunità da parte di entrambi i sessi. D’altronde questo è uno dei segni della democrazia di una società, una società garante della partecipazione responsabile di tutti i soggetti che ne fanno parte, pronta ad avviare azioni capaci di notare e contrastare le tendenze negative che si verificano.
E’ sicuramente facile perdere le speranze di un cambiamento in questo senso. Ma c’è chi non si arrende. Una sfida siffatta è portata avanti dal nostro gruppo “Se non ora quando” Tirreno cosentino che ha portato la sua testimonianza anche a Paola, il 3 marzo presso la sede dell’a.u.s.e.r. Un incontro che ha visto coinvolte più presenze femminili, tra cui la senatrice Antonella Bruno Ganeri. L’associazione ha fatto proprio il manifesto “Da mimosa a girasole”: lasciare la mimosa per sporgersi verso il sole,la speranza, e recuperare il positivo nella battaglia contro le mafie. Iniziativa venuta fuori dopo la proposta dal direttore del “Il quotidiano della Calabria”, Mattia Cosenza, di dedicare l’8 marzo alle donne vittime della ‘ndrangheta.
Ben venga allora la mimosa( o il girasole) che diventa il simbolo di quanto è stato fatto e di quanto si promette di fare, insieme,per la dignità della donna. Bandita se destinata a portare gioia soltanto tra fiorai e ristoratori.
Di Simona Palma, candidata al consiglio comunale di Paola, per Alessandro Pagliaro sindaco.